Normalità alla deriva

Se c'è un concetto che mi ha sempre affascinato è quello di "normalità".
Il vocabolario Sabatini Coletti ci offre questa definizione: "Condizione di ciò che è normale; stato consueto. SIN regolarità.". Lasciando da parte le implicazioni sociologiche ed antropologiche della nozione che, come sappiamo, hanno spesso cercato di dare (senza riuscirci) una giustificazione plausibile ad alcune delle pagine più nere che la storia ricordi, il punto su cui voglio concentrarmi è invece di carattere più limitato ed infinitesimo, essendo rivolto a quella cellula fondamentale che è il rapporto di coppia (che non necessariamente deve trasformarsi in famiglia).
La premessa biologica di questa immagine è ovviamente corretta e dimostrata, essendo basata su una semplice regola aritmetica: uomo + donna = prosecuzione della specie. Altrettanto vero è, però, che essa risulta imprecisa e noncurante di un altro aspetto fondamentale: siamo la "classe" dominante sul pianeta Terra, e questo semplice ma macroscopico dato può tranquillamente avallare l'assoluta liceità  di "nuovi" tipi di unione. Se lo scopo fondamentale insisto nella natura umana è, appunto, come detto, la prosecuzione della specie, non credo che sia frutto di una politica fallimentare avallare "nuovi legami" . Non vedo insomma all'orizzonte il rischio della detronizzazione degli uomini (come genere) se buona parte di essi non ingraviderà il maggior numero possibile di femmine prima di chiudere gli occhi per sempre. Intendiamoci: non c'è nulla di male ad ubbidire ai propri ancestrali istinti, ma, al contempo, non è affatto sbagliato scostarsi del "coito ergo sum" per esplorare nuove frontiere e nuove possibilità visto che, almeno per ora, possiamo permettercelo.
Le problematiche di fondo sono a mio avviso due: cosa si intende per "coppia normale" e cosa è normale all'interno di una coppia.
Per quanto riguarda il primo concetto la risposta è semplice, dato il mio ragionamento: coppia normale, in questo momento storico, è una qualsiasi unione fondata su sentimenti sani e corrispettivi per i quali due soggetti scelgano, liberamente, di stare assieme ed amarsi, fin quando la morte (del rapporto) non li separi. Quindi, se trovo perfettamente rispettabile che un uomo in carne ed ossa decida di "sposare" un uomo invisibile e dotato (così pare) di poteri soprannaturali, e che decida di vivere tale tipo di unione andandosene in giro in gonna nera e con pesanti anelli d'oro, trovo altrettanto lecito e giusto che una donna decida di vivere insieme ad un'altra donna perché ciò la rende più serena e felice.
Molto più complesso è il secondo quesito.
Cosa del bagaglio delle esperienze già vissute nel corso dei secoli deve essere salvato? Quali retaggi devono essere eliminati perché ormai stantii e inservibili?
Credo che la normalità, finché essa viaggia sui binari della non-patologia, sia da eleggere all'interno di quel microcosmo che è la coppia. Ciò che serve è in realtà una comunioni di scopi. Ogni coppia deve, per essere tale, muoversi all'unisono verso la soddisfazione dei propri gusti e dei propri interessi. Per alcuni la bigamia è la via da seguire, per altri l'unica strada è il ripudiare il sesso come forma di comunicazione.
Il mio non vuole essere un discorso da riassumersi nel "vivi e lascia vivere". Per quanto tale concetto abbia sicuramente delle valenze positive, rispetto soprattutto al diritto alla non discriminazione e a quello alla libertà di pensiero, credo che semplifichi troppe le cose. L'indifferenza e la noncuranza non sono mai una vera soluzione. È solo la "critica"(*), nel senso kantiano dell'espressione, che porta alla conoscenza.
Penso perciò che sia giusto interrogarsi sulle altrui esperienze perché, per quanto esse possano apparire a-normali, probabilmente potrebbero essere utili a (ri)trovare quel punto di equilibrio che deve essere raggiunto per poter vivere insieme.
Non è cosa facile, non lo è affatto. Il dialogo aiuta a capire, ma apre anche le porte a risposte che fanno spesso molta paura. Se le aspirazioni sono differenti, se le volontà divergono, non ha senso coltivare due infelicità. E in fondo, non è forse migliore una spiacevole verità che una comoda bugia? Io credo di sì.
Riflettiamo, interroghiamoci e osiamo, perché l'immobilità non diverge poi così tanto dalla morte, e non rendersi conto di essere già polvere è molto più spaventoso smettere di respirare.



A presto blog, a risentirci miei lettori.
(*) Per critica in termini kantiani si intende quell'atteggiamento filosofico che consiste nell'interrogarsi programmaticamente circa il fondamento di determinate esperienze umane ai fini di chiarirne la possibilità (ovvero le condizioni che ne permettono l'esistenza), la validità (ovvero i titoli di legittimità o non-legittimità che le caratterizzano) e i limiti (ovvero i loro confini di validità).
Tratto da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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