Cuccioli di pirla
Durante gli estenuanti pranzi da parenti, amici e sconosciuti, ai quali sono stato costretto a presenziare durante queste feste, ho avuto la possibilità di poter studiare, quale pagano di antropologia, determinati comportamenti umani che mi hanno fatto, assieme, sorridere e rabbrividire. Uno dei miei preferiti è quello che ho definito "autostima lillipuziana".
La base di ogni rapporto con il prossimo è la comunicazione, verbale, fisica o scritta che sia. È durante questo delicato processo che noi bipedi diamo il meglio di noi stessi. Senza accorgercene e, tra l'altro, senza volerlo, sveliamo molto più di quello che in realtà vogliamo dire.
Dietro ogni risposta c'è una reazione, e dietro ogni reazione si cela, più o meno evidentemente, la verità. Il trucco è saper guardare con attenzione.
Vi è mai capitato di ricevere, dopo una battuta o un'affermazione qualunque, una risposta abnorme e spropositata? Purtroppo credo di sì. A parte il fatto che molte persone, a mio avviso, possiedono la delicatezza ed il tatto di un neanderthal affamato, ciò che fa sorridere è che con quella reazione non fanno altro che svelare una propria defezione o una propria mancanza, altrimenti perché accaldarsi tanto per un qualcosa che non dovrebbe riguardarli affatto? Se raccontando una mia esperienza di vita vengo aggredito e soprattutto "corretto" sulla veridicità delle mie affermazioni (e non è perché l'interlocutore si stia improvvisando l'Erodoto della situazione) è perché, nel proprio intimo, un viscido ed opprimente senso di colpa inizia a stringere forte i fiacchi polmoni del poveretto, impedendogli di respirare come si deve: roba che nemmeno il migliore sciroppo espettorante potrebbe risolvere. E così resti inerte, bloccato, ammutolito, quasi ipnotizzato mentre fissi le gradazioni di rosso che sfiorano le guance, già rubiconde a causa del pasto ricco, del tuo destinatario che non fa altro che farfugliare una storia conosciuta da lui e da lui soltanto.
Avevano proprio ragione i latini nel dire "excusatio non petita, accusatio manifesta". Qui l'unica differenza è che, durante l'evoluzione, si è persa la capacità di chiedere scusa preferendo, ad essa, un approccio più spartano e diretto.
Ammettere un proprio errore è molto, troppo, più difficile che raccontare una favola, nuova ed inedita, che consola, coccola e accarezza i sensi di colpa alcuni nostri "piccoli" simili.
Io non sono tanto migliore di loro, tutti filtriamo i dati prima di farli scivolare via dalle nostre labbra. L'unica differenza è che io, quando mi accorgo di essere nel torto, chiedo venia piuttosto che aggredire, anche se non mi piace affatto farlo.
Nella speranza che la Befana abbia portato a costoro meno dolci e una dose elefantiaca di autostima, vi saluto mentre cerco di decidere quale antinfluenzale sia il più adatto al mio stato quasi-febbrile.
A presto blog, a risentirci miei lettori.
La base di ogni rapporto con il prossimo è la comunicazione, verbale, fisica o scritta che sia. È durante questo delicato processo che noi bipedi diamo il meglio di noi stessi. Senza accorgercene e, tra l'altro, senza volerlo, sveliamo molto più di quello che in realtà vogliamo dire.
Dietro ogni risposta c'è una reazione, e dietro ogni reazione si cela, più o meno evidentemente, la verità. Il trucco è saper guardare con attenzione.
Vi è mai capitato di ricevere, dopo una battuta o un'affermazione qualunque, una risposta abnorme e spropositata? Purtroppo credo di sì. A parte il fatto che molte persone, a mio avviso, possiedono la delicatezza ed il tatto di un neanderthal affamato, ciò che fa sorridere è che con quella reazione non fanno altro che svelare una propria defezione o una propria mancanza, altrimenti perché accaldarsi tanto per un qualcosa che non dovrebbe riguardarli affatto? Se raccontando una mia esperienza di vita vengo aggredito e soprattutto "corretto" sulla veridicità delle mie affermazioni (e non è perché l'interlocutore si stia improvvisando l'Erodoto della situazione) è perché, nel proprio intimo, un viscido ed opprimente senso di colpa inizia a stringere forte i fiacchi polmoni del poveretto, impedendogli di respirare come si deve: roba che nemmeno il migliore sciroppo espettorante potrebbe risolvere. E così resti inerte, bloccato, ammutolito, quasi ipnotizzato mentre fissi le gradazioni di rosso che sfiorano le guance, già rubiconde a causa del pasto ricco, del tuo destinatario che non fa altro che farfugliare una storia conosciuta da lui e da lui soltanto.
Avevano proprio ragione i latini nel dire "excusatio non petita, accusatio manifesta". Qui l'unica differenza è che, durante l'evoluzione, si è persa la capacità di chiedere scusa preferendo, ad essa, un approccio più spartano e diretto.
Ammettere un proprio errore è molto, troppo, più difficile che raccontare una favola, nuova ed inedita, che consola, coccola e accarezza i sensi di colpa alcuni nostri "piccoli" simili.
Io non sono tanto migliore di loro, tutti filtriamo i dati prima di farli scivolare via dalle nostre labbra. L'unica differenza è che io, quando mi accorgo di essere nel torto, chiedo venia piuttosto che aggredire, anche se non mi piace affatto farlo.
Nella speranza che la Befana abbia portato a costoro meno dolci e una dose elefantiaca di autostima, vi saluto mentre cerco di decidere quale antinfluenzale sia il più adatto al mio stato quasi-febbrile.
A presto blog, a risentirci miei lettori.
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