L'età del "loro"

Studiando materie come "Teoria generale del diritto" mi sono appassionato al discorso intorno alla società moderna, cioè dire la società in cui viviamo noi attualmente.
Lasciando da parte le implicazioni più tecniche (seppur affascinanti) di questo concetto, vorrei parlarvi della svolta individualistica alla quale stiamo assistendo e che stiamo contribuendo a mantenere in vita.
Anche io, adesso, esprimendo queste semplici ma personalissime opinioni, non sto facendo altro che rendere ancora più pingue questa deriva verso quello che possiamo definire l'"Io assoluto".
L'uomo, come ci ha insegnato Giambattista Vico, è quasi intrappolato all'interno di cicli che sono destinati sempre a ritornare: momenti di spersonalizzazione e annientazione dell'individuo uti singulus, cedono il passo alla proliferazione di superuomini, capacissimi di badare a se stessi, arroccati presuntuosamente dietro la fierezza del proprio gargantuesco essere. 
Noi viviamo nell'età del "loro": da un lato c'è un Io, quell'Io pieno di pregi ma soprattutto di difetti; dall'altro ci sono gli altri, una massa anonima da sedurre ma soprattutto dalla quale trarre sicurezza. 
L'unico sovrano al quale riconosciamo la legittimazione di dettare le regole è nascosto dentro noi stessi, ed è quella voce che alcuni chiamano coscienza, che per molti è mero egoismo, ma che nel mio caso è, per fortuna, più che altro un "fanciullino" di non più di dieci anni, pieno di curiosità e della giusta dose di incoscienza. È lui che mi tira la maglietta dicendomi di non fidarmi di qualcuno, di reagire male per un atteggiamento o di essere orgoglioso per qualcosa.
Io trovo che questa età, così originale da poter essere definita post-moderna, sia una delle più affascinanti fra tutte le passate epoche moderne. Ha dei tratti di specialità così evidenti da fare quasi pensare che essa non tornerà mai più, quasi fosse un'eccezione a quella verità che Vico ci ha gentilmente trasmesso.
Tutti questi pregi nascondono, in realtà, anche una grave insidia: se la nostra sicurezza dipende esclusivamente dagli altri, nel momento in cui siamo ignorati o isolati, quella roccaforte sulla quale siamo comodamente appollaiati non può che crollare sotto i colpi impalpabili dell'indifferenza. Ecco perché, per quanto io ami crogiolarmi nella stima che molte persone mi donano giorno dopo giorno, ho cercato di imparare dalla storia e soprattutto dai miei errori: non è quindi un "retweet" o un commento negativo a fare la differenza tra la felicità e la disperazione; i miei sorrisi, per quanto siano fortemente influenzati dagli attestati di presenza di amici e sconosciuti, traggono la loro forza dalla mia stessa esistenza. Il mio continuamente sentirmi un piccolo ma fortunato granello senziente in questo sconfinato universo, mi rende ancora più individualista ed ancora più sicuro di me stesso. 
In quanto animale sociale, insomma, non potrò mai fare a meno dei miei simili, ma in quanto fanciullino dai "fenomenali poteri cosmici" (cit.) nessuno potrà mai distruggere il mio castello di certezze: draghi e cavalieri potranno sfigurare la sua bellezza, ma esso, per quanto ammaccato, resterà in piedi. Siamo troppo rari per farci ridurre in polvere da chi polvere dovrà tornare. 
Riflessioni gravose queste, forse per alcuni noiose, ma così tanto mie da farle apparire, a chi scrive, leggere e piacevoli come una brezza primaverile. 



A presto blog, a risentirci miei lettori. 

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