Confusion is in the air

L'uomo, interessante organismo pluricellulare dalle fenomenali capacità tanto platealmente ostentate ma, soprattutto, tanto raramente applicate, per poter capire e conoscere il mondo sensibile crea delle "categorie": compartimenti, più o meno stagni, da riempire con oggetti che hanno caratteristiche comuni. Così è sempre stato fatto, fin dall'antichità, e ciò ha portato a dei risultati e a delle analisi più che soddisfacenti. 
Nell'era moderna, quella in cui viviamo noi, stiamo però assistendo ad un incontrollabile "categorismo" (permettetemi il neologismo, ho sempre desiderato partorirne uno): tutto deve essere inglobato dentro un insieme. È come se si fosse persa, lungo la storia dell'evoluzione umana, quella elasticità mentale che permetta di cogliere l'autenticità e la "non-accorpabilità" di determinati fenomeni. Capisco il classificare le foglie secondo le loro caratteristiche, comprendo una elencazione dei vari tipi di vertebrati esistenti in natura, ma è davvero possibile dividere gli uomini in categorie? Non si sta cercando di semplificare troppo quella specialità e quella complessità che ci contraddistingue?
Ormai ogni individuo è schedato o schedabile: bianco o nero; giovane o anziano; di destra o di sinistra; etero o gay; credente o non credente; ottimista o pessimista; ricco o povero; pro Barbara D'Urso o in Barbara D'Urso. 
Paradossalmente, sentendo così forte il bisogno di appigli logici e incontrovertibili, si finisce per arrivare a degradare l'uomo da soggetto a oggetto. Questa reificazione, nel 2013 d.C. mi pare decisamente anacronistica e abbastanza ridicola. 
Gli esempi sono molteplici: sei gay e hai avuto la sfortuna di nascere in Russia? Allora meriti sevizie e torture. Sei un uomo di Chiesa? Allora meriti rispetto per l'abito che porti. Sei un agente di polizia? Allora meriti la morte perché sei un servitore di quello Stato malato che tutti criticano. 
Sia nel bene che nel male si assiste ad una automaticità nei giudizi che a me, sinceramente, fa paura. Non tutte le veline sono stupide o vuote, così come non tutti i professori universitari sono intelligenti e preparati.
Una sana, succosa e pingue iniezione di concretezza, di tanto in tanto, non potrebbe che farci bene. Le categorie sono solo uno strumento, e come tale hanno un senso solo fin quando riescono a servire l'uomo; smettono di essere utili quando fanno perdere di vista la relatività che avvolge ogni cosa, ma soprattutto, ogni persona. 
Probabilmente questa mia riflessione ha ben poco del succo di un singolo acino d'uva; diciamo pure che somiglia più ad un grappolo di concetti che, in una fredda, lenta e silenziosa domenica siciliana, hanno scosso l'autore, un po' troppo logorroico e serioso, di questo spazio virtuale. 



A presto blog, a risentirci miei lettori. 

Commenti

  1. L'uomo e il suo continuo categorizzare, creare classificazioni per meglio esercitare un controllo gli uni sugli altri, classificazioni che generano discriminazioni e barriere. Si nasce volendo far parte ad una categoria: fino a qualche tempo fa c'erano gli emo, i truzzi e i poser, i metallari e i b1mb1 sTyLo$Y, ma quanto si è patetici? Classificazioni metali che aggregano una cerchia di persone per creare invece distanze abissali con le altre categorie. L'uomo è la macchina più complessa e insicura del mondo.

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  2. Concordo con te Anonimo lettore. Intendevo proprio questo: uno strumento deve servire a facilitare il nostro lavoro così da poter arrivare più facilmente ad un risultato; ma se si passa dal semplificare al semplicismo, allora il risultato sarà sicuramente inesatto e incompleto.
    Grazie per il tuo commento,

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