Consumisticamente
Il saggista tedesco Siegfried Kracauer, già durante gli anni Venti del secolo scorso, si scagliò duramente contro la filosofia del divertimento propria della Belle Époque definendo la società di massa come un semplice ornamento, un orpello privo di scopo, come un’orda di individui guidati dalla cieca voglia di avere, di possedere, di collezionare standard di benessere utili a misurare sia la propria che l’altrui felicità così da redigere un bilancio da sbattere in faccia a chi era rimasto indietro, a chi aveva rallentato la marcia, a chi, semplicemente, era diverso perché concentrato su altro.
La prova che Kracauer avesse
ragione è facilmente dimostrabile guardando la società odierna e la sua folle corsa
verso una meta costellata non di valori ma di voleri: oggetti, beni, cose, tutti
elementi intimamente materiali, tangibili, aggredibili con i sensi, divorabili e
consumabili per cercare di placare una fame neurologica che non ha inizio e non
ha fine. Non c’è posto per la lentezza, il “tutto e subito” ha sostituito la
riflessione, la progettazione, l’attesa. Soprattutto, però, non c’è posto per le
differenze perché nulla è più orribile di una stonatura di colore su una trama
di grigi.
E sono bastati questi due capoversi,
scritti in una tiepida mattina di aprile per riequilibrare un cuore annoiato
dal tran-tran quotidiano, a far scappare chi di quella fretta ha fatto una ragione
di vita, preferendo, forse, l’anelito del dubbio alla brezza costante della certezza.
Si consuma con la bocca, con la
carta e con la gomma, si consuma con il fuoco e con la voglia di annullare i
pensieri, di cancellare i tormenti, di annegare il dubbio che possa esserci
qualcosa di difettoso, di rotto e di imperfetto in chi aspira ad essere quello che non c’è.
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