Il peso dell'elio
I problemi, se ci fate caso, gravano sempre e solo sulle spalle di chi "resta", di chi non dimentica ma di chi perdona, di chi tace pur avendo mille parole che come arieti cozzano contro i denti cercando di uscire e di distruggere tutto.
Ci lasciamo torturare, quasi fosse uno spietato gioco erotico, dai nostri ideali e dal nostro personalissimo e opinabile modo di intendere il mondo: crescendo e maturando ci regaliamo una definizione di universo da fissare in alto, all'apice della nostra piramide valoriale, così che essa diventi la "Grundnorm" di riferimento dalla quale far derivare leggi morali, regole di vita e direttive sui desiderata.
Spesso, però, quella norma fondamentale si trova così in alto da raggiungere l'esosfera, trasformandosi in un iceberg fluttuante e inaccessibile, rigido e freddo come un binario morto, grave e pesante come un intero continente.
Facciamo una gran fatica a vivere quando farlo vuol dire confrontarsi diuturnamente con la nostra e con l'altrui complessità, eppure soffrire è inevitabile, è anche eccitante, è quasi soddisfacente: l'arte e la scienza non nascono, forse, dal dolore e dal bisogno? Chi perderebbe tempo a scovare un vaccino, a tirar su una cattedrale o a scervellarsi per stendere una costituzione se il benessere fosse l'unica forza esistente su questo pianeta?
Molto più semplice sarebbe sopravvivere senza avvertire la necessità di confrontarsi con il peso di certe scelte e di certe decisioni: cambiare idea è certamente segno di intelligenza, della nostra capacità di adattarci ai mutamenti dell'ambiente circostante, è in un certo senso la più alta espressione della nostra "capacità evolutiva", ma svilire il peso di un "no", lasciando che esso sia soggetto solo ed esclusivamente alla forza di gravità altrui, non significa essere illuminati e savi, ma solo degli esoscheletri farciti di leggerissimo elio, un gas certamente "nobile", ma anche «incolore, inodore, insapore, non tossico e inerte. [Un gas che] ha il più basso punto di ebollizione fra tutti gli elementi e può solidificare solo se sottoposto ad altissime pressioni. [Un gas che] è il secondo elemento più diffuso nell'Universo, dopo l'idrogeno» (definizione trattda: clicca qui).
Idrogeno ed elio esistono e coesistono in una dimensione di eterno scontro dialogico in cui volano accuse di durezza e sentenze di faciloneria, in cui altare e contraltare si danno battaglia senza mai giungere ad un reale compromesso semplicemente perché è impossibile cercare si fondere assieme acqua ed olio. Ma loro questo non lo accettano, avvinti come sono da quel manto di superbia che li spinge a tentare di trovare una via che semplicemente non esiste.
Forse sono semplicemente troppo severo, forse anche io dovrei arrendermi, come molti, all'ovvia considerazione che "chi nasce elio non potrà mai morire idrogeno", eppure preferisco pensare che in fondo tutti noi abbiamo la possibilità di riscoprirci forti e determinati, capaci di riflettere, di sorprenderci, di immergerci nelle profondità oceaniche del dolore per poi tornare a galla persino con ossigeno residuo.
In fondo solo uno, fra questi due elementi, è davvero capace di "generare" la vita così come la conosciamo, bisogna solo cercare di non dimenticarlo, così da superare la paura di essere diversi, di essere insopportabili, di essere unici, di essere anche ciò che non mostriamo a nessuno se non a pochissimi eletti capaci di intuire che dietro a quella scala di grigi ci sono colori che aspettano solo di essere salvati.
«θυμέ, θύμ', ἀμηχάνοισι κήδεσιν κυκώμενε,
†ἀναδευ δυσμενῶν† δ' ἀλέξ<εο> προσβαλὼν ἐναντίον
στέρνον †ἐνδοκοισιν
ἐχθρῶν πλησίον κατασταθεὶς
ἀσφαλ<έω>ς·
καὶ μήτε νικ<έω>ν ἀμφάδην ἀγάλλεο,
μηδὲ νικηθεὶς ἐν οἴκωι
καταπεσὼν ὀδύρεο,
ἀλλὰ χαρτοῖσίν τε χαῖρε καὶ κακοῖσιν ἀσχάλα
μὴ λίην, γίνωσκε δ' οἷος ῥυσμός ἀνθρώπους ἔχει»
«Cuore,
mio cuore, straziato da dolori insanabili,
risollevati
e difenditi da chi ti è ostile, a viso aperto,
fronteggiando
sicuro le trame insidiose dei nemici;
non
vantarti apertamente se vinci
e non abbatterti, non
gemere, se vinto, chiuso in casa,
ma
gioisci di quanto rallegra e rattristati per le sventure
senza
eccesso; riconosci il rhysmòs che regola l’uomo»
("Al proprio cuore", Fr. 128, Archiloco)
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