Il sentiero dorato

La prima pioggia successiva all’estate è sempre un’esperienza emozionante e sconvolgente: la poca luce, l’aria fresca, la leggera nebbiolina nell’aria ed i profili umidi e bagnati delle case scatenano nella mente una miriade di sensazioni e milioni di interrogativi. Il passato inizia a sbiadire per lasciare il posto all’hic ed al nunc.   

Molti obiettivi sono stati faticosamente raggiunti, molti nodi sono stati sciolti, parecchie lezioni sono state archiviate nelle cassette di sicurezza della nostra anima…eppure permane quella sensazione di vuoto, di limbo, di smarrimento che spaventa e scoraggia anche  i sopravvissuti più coraggiosi.

I trenta, soprattutto al giorno d’oggi, sono gli anni della disillusione, della lacerazione del velo di Maya, della confusione e del tormento, dell’oscillazione, incessante e cadenzata, tra gli alti vertici di due alte piramidi lastricate di sogni e desideri; e sotto di noi il vuoto, una massa, un groviglio, un insieme di nodi paurosi e colorati, tenuti assieme da tanti piccoli rebus ancora irrisolti.

Quanti sensi di colpa, quanta dura e tagliente realtà squassa i solidi cuori dei giovani che vivono in quel futuro che è arrivato forse troppo in fretta. La Terra Promessa non è come ce l’avevano descritta: nessuna città di smeraldi alla fine del percorso dorato, nessun compagno a cui tendere la mano, nessun tiepido sole disposto a scaldare il nostro arrivo nel mondo reale.

Eppure, se siamo giunti, qualcosa vorrà dire: quella speranza di arrivare al traguardo è anch’essa diventata realtà, così come quelle paure che ci siamo sempre portati dietro. Ci siamo noi, solo noi, davanti ad una miriade di strade, vicoli e sottopassaggi; noi alle porte di una città buia e spaventosa; noi con in mano solo quell’umanità che ci ha trasformati, grazie chissà a quale magia, in bambini “veri”.

Tocca ancora camminare, faticare, e questa volta bisogna farlo senza che la via sia indicata e segnata: bisogna entrare nella città, chiedere informazioni e correre così come fanno tutti gli altri, cercando di prendere quel treno prima che sia troppo tardi, prima che parta lasciandoci soli in una sovraffollata stazione con i bagni fuori servizio.


Abbiamo finalmente la certezza, empirica stavolta, che ogni via, per quanto lunga possa essere, porta da qualche parte; quello che tocca imparare adesso è che ci sono molte più vie di quelle che la nostra mente potesse immaginare e che è impossibile pensare di percorrerle tutte: in mezzo a questa orgia urbanistica perdersi è facile…o forse è semplicemente necessario, e ciò perché l’unico vero pericolo, dopo tutto, è restare immobili nella speranza che sia la strada sotto ai nostri piedi a spiegarci che fare e dove andare: chi si ferma, ahimè, non è semplicemente perso, ma molto più tristemente perduto per sempre. 

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