L'ottimismo di Sisifo

Di solito quando voglio offendere qualcuno che reputo molto, ma molto, stupido, gli auguro di seguitare a vivere in compagnia di se stesso per moltissimo tempo, maledizione questa che reputo forgiata nella più torva cattiveria. Probabilmente, senza che io me ne accorgessi, qualcuno mi ha augurato qualcosa di più tremendo: un ipertrofico e feroce senso critico.
Essere me, day by day, è davvero complesso: riesco a toccare picchi altissimi di cortesia e lealtà, per poi precipitare in profondi canyon di incoerenza e risentimento. 
Sono una persona curiosa, ed amo, quasi patologicamente, investigare nei meandri oscuri della mente umana, compresa la mia. Probabilmente è fallace tentare di essere giudici terzi ed imparziali di se stessi, ma questo esercizio, compiuto senza la pretesa di arrivare a verità assolute, è una buona palestra di autocritica, che può sollevare, in una qualche misura, dall'ignoranza. 
Come recitava un'antica sentenza religiosa insomma "Γνῶθι σεαυτόν" (= Conosci te stesso). Io sono perfettamente d'accordo: conoscere, e quindi valutare, se stessi, è il primo passo per capire gli altri ed il mondo circostante. 
Ciò  che dovrei evitare è la mia eccessiva severità nell'analizzare i miei errori, e non perché io voglia rinnegare quella rara virtù che è la modestia, ma semplicemente perché l'essere eccessivamente critici verso i propri sbagli ci rende crudeli ed insensibili arbitri delle pecche e delle defezioni altrui. Se inomma è molto complesso accorgersi delle proprie imperfezioni, è tremendamente facile notare il più piccolo neo comportamentale di chi ci sta accanto.
La vita, breve o lunga che sia, deve servire, a mio avviso, a migliorarsi, a stemperare i vizi con l'acquisizione di pregi, e questo non per dimostrare qualcosa a qualcuno, ma perché l'unico modo per raggiungere l'immortalità, è aver fatto e lasciato qualcosa di buono su questa Terra: concentrare la propria esistenza su se stessi è una delle più bieche forme di sopravvivenza.
Criticare per imparare e imparare così da lasciare in eredità, al prossimo, esperienze che altrimenti tornerebbero ad essere cenere proprio come noi. 
Probabilmente quello che cerco di raggiungere non arriverà mai, forse sono solo un cocciuto Sisifo dei miei tempi. Ma se così fosse, non mi dispiacerebbe dopo tutto: penso che da ogni sconfitta si impari qualcosa, ma solo a condizione di avere il coraggio di voler ricominciare da capo quella salita della quale però, questa volta, già conosciamo pendenza e asperità.



A presto blog, a risentirci miei lettori. 

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