Prometeo innamorato
Ho sempre provato un forte senso di sgomento nel chiedere aiuto. Quando ci si mostra vulnerabili, indifesi e bisognosi di cure, di solito si finisce o con il dover ricucire frettolosamente le proprie ferite per bloccare lo sgorgare di quel sangue che scuote l'animo del nostro povero interlocutore, oppure con il trasformarsi nel povero Vladimiro di turno che attende invano sul palco, pur sapendo che nessun Godot verrà mai a salvarlo.
La realtà nella quale viviamo e della quale facciamo inesorabilmente parte, fa riecheggiare nell'aere la solita vecchia nenia: "bisogna salvarsi da soli perché ad ogni isola che si rispetti deve interessare soltanto essere ed avere". Chi sta affondando merita di affondare, di sparire, di fare posto al nuovo arrivato che velocemente ergerà mura, castelli e cittadelle, provando a sfiorare il cielo, provando a raggiungere vette che hanno il sapore del paradiso.
All'inferno resta chi non riesce a salire su questo treno in corsa che è il nostro mondo, chi non possiede quella forza d'animo che gli consente di afferrare un tozzo di pane per sopravvivere, di ringhiare più forte, di schiacciare i competitor, di primeggiare così come nessuno, evidentemente, gli ha insegnato a fare. Eppure quell'inferno sa di casa, di terra, di legna, avvolto com'è da un fuoco rubato agli dei e illuminato da colori ed ombre di straordinaria bellezza.
Prometeo ha rischiato tutto per amore, e l'amore lo ha condotto all'inferno. Spezzare le catene, vomitare tutti quei silenzi che occludono gli intestini, crea altro dolore, altri traumi, altre lesioni, ma aggrapparsi all'idea che un giorno qualcuno lo aiuterà a liberare i suoi polsi dal pesante ferro che li opprime, gli permette di resistere, regalandogli la speranza che ci siano altri folli che, come lui, sono disposti a dare tutto, anche senza essere, anche senza avere.
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