Amore aeriforme

Se è vero che siamo tutti forzosamente inseriti in un globale e spietato meccanismo di "scarto" che ci vorrebbe trasformare in "beni", appare altrettanto corretto affermare che questa reificazione degli esseri umani e delle relazioni ci ha portato a concepire l'amore in chiave consumistica: prendiamo quel che ci piace e quando vogliamo al solo scopo di soddisfare un bisogno momentaneo dettato dalla nostra voglia di novità e di conquista. Altrettanto velocemente, quando dalla lingua, dopo l'ennesimo morso, dopo il milionesimo palloncino, inizia a svanire quel sentore di freschezza che profuma di menta e spazi aperti, non ci facciamo alcun problema a sputare via e ad espellere, anche con una certa dose di fastidio, quel pezzo di gomma uguale a tantissimi altri pezzi di gomma.

Come ha scritto il grande sociologo Zygmunt Bauman, nel suo "Amore liquido", si può far ben poco quando una relazione finisce, soprattutto quando siamo noi ad essere la "gomma" scacciata, messa alla porta, eiettata da quella bocca in cui, per qualche istante, abbiamo trovato dimora, ristoro e conforto: «Ai suoi occhi, tu sei l'azione da vendere o la perdita da tagliare, e nessuno si consulta con le proprie azioni prima di venderle, o con le perdite prima di tagliarle».

Trovate sia triste? Ingiusto? C'è qualcosa da riformare? Bisognerebbe scendere in piazza per protestare?

Beh, concedetemi un piccolo spoiler: l'amore è ingiusto, guai se così non fosse. Non possiamo pretendere di addomesticare l'amore, possiamo solo imparare ad approcciarci ad esso nel modo giusto, soprattutto nell'era (post-moderna) che stiamo vivendo, contrassegnata da un imperante individualismo che da molti è visto come il vero nemico da combattere. 

E se invece questa spietata attenzione verso "se stessi" fosse solo un nuovo modo di concepire l'esistenza umana? Se fosse una fase necessaria che porterà ad un nuovo illuminismo antropologico? O se fosse questo il punto di arrivo? Se la fuga dai vecchi schemi relazionali servisse, quasi fosse una medicina, a vaccinarci dalla pretesa di "sopravvivere" alle relazioni fino al sopraggiungere della morte? Se l'amore, proprio come una società commerciale, fosse semplicemente soggetto al fallimento, che male ci sarebbe nell'accettare tale fase come un connotato possibile e niente affatto straordinaria di ogni rapporto di coppia? 

Basta. Basta pensare che le promesse abbiano una valenza "giuridica" quando si parla di sentimenti: i bilanci preventivi, in amore, non esistono; possono solo prodursi bilanci consuntivi, a chiusura di esercizio, ed al solo scopo di ripercorrere il viale di ricordi che ha portato a quel punto. 

Investire in una relazione vuol dire accettarne rischi ed aleatorietà: credere che un patto, o un matrimonio, possano mettere un freno al cambiamento è da stupidi e da ingenui. 

L'amore non è più nemmeno liquido, è ormai aeriforme, passeggero, inafferrabile: c'è ma non si vede, e solo quando quell'aria viene a mancare e siamo ad un passo dal soffocamento, ci rendiamo conto di quel che abbiamo respirato fin a quel momento. 

Essere "licenziati", esclusi e allontanati non piace a nessuno e sicuramente non è un tonico per l'autostima, ma crogiolarsi in questa condizione di sofferenza per un tempo illimitato è un insulto alla nostra condizione umana: non siamo davvero oggetti, non siamo cose, siamo delle controparti viventi in una relazione fra pari. 

Accusare l'altro o se stessi non serve assolutamente a nulla; il gioco delle compatibilità funziona così, e in fondo basta accettarlo così da anestetizzare il dolore, così da regalargli un senso, così da imparare, da esso, come fluttuare in quell'aria densa di scelte e di possibilità. 

Imparare a volare è cosa complessa, così come lo è scegliere chi essere e cosa sperare di ottenere. 

Non tutti sono, però, tagliati per fare gli eroi: per ogni principe uccisore di draghi esistono mille abitanti del villaggio troppo impauriti da quelle fiamme per far qualcosa di diverso dal disperarsi o dal pregare che qualcun'altro risolva il problema.

In amore va così, sta a noi decidere se combattere o morire, per paura di essere uccisi. 

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