Agrifogli vagabondi

Ho sempre pensato che i fiori siano delle innocenti vittime della nostra vanità: imbellettati, lucidati, coperti di brillantini ed infine incelofanati, si trasformano in vettori di scuse e promesse, spesso tali solo nella forma visto che i significati più autentici, in questa società 2.0, fanno sempre più fatica ad essere incapsulati nelle parole "giuste".

Quando scorgiamo un quid che colpisce i nostri occhi avidi di bellezza, il primo istinto è quello di farlo nostro, di catturarlo, di tenerlo con noi per sempre (o così crediamo inizialmente): i bambini, quando vedono un nuovo giocattolo in un negozio, restano come incantati da quel caleidoscopio di rumori; provare a separarli dall'oggetto del desiderio li porta a strillare ed a disperarsi perché avvertono l'intima incapacità di non poter vivere senza quel balocco. Lo stesso, e spesso facendo molti più capricci del più viziato dei lattanti, facciamo noi adulti con le relazioni: quando incontriamo qualcuno che ci piace, o che non ci dispiace poi tanto, il primo istinto è quello di possedere quella "res", di acquistarla così da diventarne proprietari esclusivi e poter esercitare, in caso ce ne fosse bisogno, tutte le azioni a difesa della stessa (quella di rivendicazione, quella negatoria, di regolamento dei confini ed anche quella di danno temuto, ma solo quando scatta la gelosia per gonne troppo corte o bicipiti troppo in vista).

Sfoggiare un nuovo acquisto è sempre entusiasmante, anche solo per compensare l'investimento scovando tra la folla dei passanti gli sguardi pregni di invidia e di biasimo dei detrattori più affezionati.

L'atto di strappare un fiore alla terra segna l'inizio di un inarrestabile countdown che porterà quell'essere fatto di clorofilla e linfa alla morte per essiccazione...eppure, si dice, che ogni fiori è segno d'amore, già, ma amore per chi? 

Che si nasca agrifoglio, rosa o girasole troveremo sempre, lungo il cammino, qualcuno  che ci inviterà a separarci dalle nostre radici, un seducente narratore che ci parlerà di altri orizzonti e di altri pianeti, di fredde estati e di caldissimi inverni, di aurore incantevoli e di tramonti insanguinati, di venti, di mari, di colline, di strade, di canyon e crepacci, di viaggi, di amore, di sentimenti e di sesso e, in estrema sintesi, di una "nuova vita". 

Staccarci dalle zolle che ci hanno permesso di crescere robusti e forti è rischioso, in alcuni casi persino mortale, ma un fiore curioso non accetterà mai di morire senza aver osato, senza aver conosciuto ed aver scoperto tutti i sapori del mondo, un fiore curioso si lancerà fra le braccia del suo "floricida" donandogli tutto il suo profumo e tutto il poco tempo che gli rimane, non prestando la minima attenzione alle "chiacchiere dei vecchi troppo severi". 

In fondo la felicità è sempre relativa e soggettiva: meglio un giorno da leone che cento da pecora, meglio un uovo oggi che una gallina domani, meglio l'istinto che la ragione, meglio bruciarsi, anche quando sappiamo che la scottatura ci metterà molto tempo a guarire.

A volte, tuttavia, capita di incontrare fiori che hanno imparato a camminare sulle proprie radici, fiori che non chiedono di essere seguiti, ma solo il permesso di regalarci la loro compagnia, il loro profumo, di sbocciare accanto a noi, offrendo persino, ma solo se richiesti, consigli su come muoversi portandosi dietro quel pesante rizoma che contiene i "tessuti parenchimatici di riserva", quei tessuti cioè che permettono a tutti gli organuli del nostro corpo di funzionare correttamente garantendoci una sana esistenza che in molti, purtroppo, percepiscono solo come mero oggetto sacrificale.

Abbiamo tutti un numero finito di petali o di bacche da farci strappare: imparare a tirar fuori le radici può far male, ma è una forma di difesa che può aiutarci a sopravvivere più a lungo senza lasciarci del tutto consumare o deturpare da mani ignoranti avide solo di quantità e non di qualità.

Un agrifoglio vagabondo lo sa che prima o poi, durate il suo peregrinare, potrebbe trovare un luogo dove poter finalmente "sbocciare", dove poter riprender fiato, dove poter intrecciare le sue radici ad una terra che sia in grado ed abbia voglia di ascoltare le fantastiche avventure di una pianta che, sfidando la sua natura, ha imparato persino a camminare. 

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