Il supplizio della fune

Il platonicamente irrealizzabile ci ha sempre attirato e continua irrimediabilmente a farlo. L'idea di un upgrade, di una nuova struttura sociale, di un mondo perfetto ci seduce e ci fa ben sperare, coccola le nostre menti proiettando immagini di una realtà che non esiste e che, probabilmente, mai esisterà. 

Il mondo delle idee ed il mondo sensibile, due piattaforme che hanno in comune solo, e non sempre, le leggi della fisica e della biologia: due universi perennemente messi a confronto che si influenzano a vicenda, ipotecando gli uni le certezze e le soluzioni dell'altro, spostando, con velocità e forza, l'asticella dei desiderata verso l'alto o verso il basso, come in un tiro alla fune eterno, un supplizio mitico in cui nessuno vince e nessuno perde, in cui la ciclicità della pena non è in grado di distruggere la vana speranza che qualcuno possa infine trionfare.

E noi qui, seduti e confusi, bravi solo chiederci cosa fare, come farlo, quando farlo e, soprattutto, perché farlo.

La scrittura ha ormai, quasi definitivamente, ceduto il passo alle arti figurative ed alle immagini, più immediate e più capaci di far scattare sull'attenti le nostre menti ormai impigrite sino al punto da non tollerare più ordini che provengano da una banale frase scritta e stampata: quei piccoli caratteri neri sono ridotti a delicatissimi atolli corallini che galleggiano su un oceano di carta bianca come la neve e quasi del tutto priva della carica alchemica che essa possedeva tanti, troppi, anni fa. 

Ma mi chiedo, vi chiedo, quali immagini? Quali significati? Quali trame? Cosa stiamo osservando con tanta attenzione e con tanta costanza?

Siamo circondati da altissimi, caldissimi e sfavillanti fuochi di paglia alimentati da contenuti che ci fanno sorridere e gioire, ci fanno riflettere e ragionare...ma solo per pochi attimi, per qualche infimo istante, lasciando, una volta spenti, solo un grande spazio buio privo di confini decisi: una radura in perenne penombra al cui orizzonte non si vede altro che l'immagine tremula dell'orizzonte stesso; un vuoto da riempire con le luci ed i colori di un nuovo falò, forse ancora più abbagliante e vivido del precedente, il cui ricordo svanirà comunque rapidamente senza lasciare alcuna traccia nella nostra memoria. 

Le armate, a ben vedere, non sono più due perché un nuovo avversario vanta il diritto di tirare quella fune, e questo nuovo contendente altri non è che l'universo delle sciocchezzuole, delle nugae 2.0, una realtà quasi virale, priva di un proprio esoscheletro, che attacca le impreparate difese degli altri sfidanti, colonizzando quei corpi già fiaccati dallo scontro, mettendone sotto scacco priorità, necessità, fini e princìpi. 

Difficile dire cosa accadrà: il supplizio è stato forse commutato in una tortura ancora più penosa? Bisogna accettare il fatto che tutto è irrimediabilmente cambiato? Oppure si tratta di una fase temporanea? E in quest'ultimo caso, è previsto un termine finale?

Domande senza risposta certa, domande che fungono però, forse, da antibiotico, domande che regalano nuovo vigore tanto al mondo delle idee, quanto a quello della realtà: chissà, forse non è tutto perduto, forse è solo la natura che distrugge se stessa per poi creare un nuovo campo di battaglia, forse, "forse la vita non è (stata) tutta persa, forse qualcosa s'è salvato, forse davvero non è (stato) poi tutto sbagliato, forse era giusto così, forse ma, forse ma sì.".

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