Esperienza minima

Anni passati a sognare, a sperare, a pregare di raggiungere l'agognato traguardo della laurea...per poi sprofondare nell'atroce dilemma che attanaglia ogni neo-dottore: "Che fare adesso?".

Se fossi in grado di darvi un buon consiglio lo farei, davvero, ma niente, nessuna illuminazione, nessun sogno rivelatore riesce a indicarmi la direzione da prendere: al momento vago in una selva oscura fatta di stage non pagati e di offerte di lavoro con salari da opificio londinese del XIX secolo.

E ci si trova così con una bellissima pergamena (che diciamolo: fa la sua porca figura dentro la cornice IKEA presa a 3.99€) ma con nessuna o al massimo una minima esperienza in settori lavorativi che hanno poco o nulla a che fare con il proprio corso di studi.

E quindi ti chiedi: a cosa sono serviti quei trentatré esami? E la pignoleria della Professoressa che ti ha rimandato per ben due volte perché "no, dai, 24 è troppo poco, puoi aspirare a qualcosa di più" a cosa ha portato? E l'aver imparato il complesso meccanismo del lancio di un'offerta pubblica di acquisto di prodotti finanziari, quali benefici sta regalando alla tua esistenza? Ve lo dico io: per il momento assolutamente nessuno.

Però una cosa l'ho imparata, e non mi riferisco ai cinque motivi di ricorso in Cassazione o alle materie di competenza legislativa esclusiva delle regioni, no, l'unica cosa che ho imparato, ed anche molto bene, è come creare e gestire con successo una "catena di fallimenti": quei libretti lanciati a terra dopo un esame superato con 18, quei rimproveri per essermi congedato da una prova in itinere con un (evidentemente fuori luogo) "Grazie, arrivederci", quei continui tentativi di mettermi in difficoltà, di umiliarmi, di farmi crollare su brocardo o su una circostanza aggravante, mi hanno reso capace di vedere un fallimento anche lì dove si doverebbe celebrare un, seppur piccolo, successo.

"Ciò che non ti uccide ti fortifica". Davvero? Non ne sono così sicuro, o almeno non come in passato. Per ora quel che non mi ha ucciso mi ha portato solo ad ammorbare la rete con questo articoletto ricolmo di insoddisfazione, di frustrazione e di sarcasmo.

Indubbiamente ce l'ho fatta, ma ce l'ho fatta...a far cosa? Ho dimostrato che nonostante tutto, con perseveranza e tanti sacrifici, è possibile arrivare alla meta (seppur con un ritardo capace di far impallidire persino Trenitalia), ma ora? Cosa me ne faccio di questo successo? Si tratta della mia patologica incapacità di gioire per quel che riesco ad ottenere oppure della lucida consapevolezza che forse, durante il tragitto, ho imboccato un percorso sbagliato?

Allo stato attuale mi è quasi impossibile regalare una risposta a questi interrogativi. L'unica cosa che so con certezza è che sono ormai molto vicino al numero massimo di rospi che sono in grado di ingoiare e che, di conseguenza, sarò molto più cauto nello scegliere quali combinazioni "provare" e quali no: d'altronde se una speranza esiste per tutti perché per me dovrebbe non essere così?


Due postille: 
* Spero di non avervi succhiato via gioia o speranze con questo articolo, non volevo risultare il solito "dissennatore della domenica", semplicemente avevo bisogno di sfogarmi. 
*Vorrei rassicurarvi su una cosa: alla fine la Prof di cui sopra, dopo due bocciature ed 8 mesi di ansie e interrogativi, mi ha promosso...con un bel 24! 

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