Domeniche virtuali

Quanto criticata e odiata è questa realtà virtuale nella quale, quotidianamente, sguazziamo? A detta di mamme, nonne, zii ed amici non sono stati ancora inventati aggettivi adatti a demonizzare questo fenomeno (in)culturale che ci ha completamente stregati ed assorbiti.

Che si tratti di un incantesimo e della nostra poca mancanza di misura, sta di fatto che viviamo con il sorriso plasticamente rivolto verso quella finestra luminosa, perennemente bisognosa di energia, il cui paesaggio ci piace così tanto proprio perché è in continuo movimento. Un insensato, caotico e tumultuoso susseguirsi di immagini che ci fanno ridere, commuovere, eccitare, sbuffare, sgranare gli occhi e sollevare le sopracciglia per il disgusto. 
Così tra una critica ed un buon consiglio finiamo, di tanto in tanto, col rinsavire e con il chiederci perché mai perdiamo tutto questo tempo a trovare, continuamente, qualcosa che, in fondo, non stiamo nemmeno cercando. 

Di solito questa sensazione di amore per la realtà fisica e tangibile inizia a pervadere le nostre membra la domenica mattina, quando, ancora mezzi assonnati, iniziamo ad organizzare gite o momenti di relax che ci faranno arrivare al lunedì carichi e pieni di joie de vivre.
Ma poi? Puntualmente qualcosa va storto: gli amici impegnati, malati o annoiati; un improvviso ed improrogabile impegno; una telefonata che ci mette di cattivo umore...e così, colmi di rabbia da rivolgere forse al fato o forse al karma, ci rifugiamo in quella realtà  virtuale alla quale, in un altissimo momento di razionalità che giustifica tutto il percorso evolutivo fatto fino ad ora, avevamo, almeno per un giorno, rinunciato. 

La verità è che per quanto i social ci rubino tempo che potremmo dedicare ad altro, spesso sono un sottovaluto strumento per tenerci compagnia a vicenda: un dispositivo di "primo soccorso"; una grande, grossa e gratuita di terapia di gruppo; una piazza piena di sconosciuti che portano, sulle spalle o sotto la pelle, i tratti più o meno visibili delle proprie insoddisfazioni personali, delle quali, in certi casi, non osano fare parola con nessuno. 

Sì, è vero, non bisogna mai lasciarsi assorbire totalmente da Facebook, Twitter e compagnia bella: il rischio è quello di trasformarsi in protozoi incapaci di comunicare senza un portfolio di emoticon e gif create poi da chissà chi. Bisogna però riconoscere che molto spesso, dentro ad un tweet o ad un commento, abbandoniamo qualche grammo di quella solitudine che infesta le nostre menti perennemente affamate di vita e di socialità. Forse, a ben vedere, è riduttivo pensare che non si possa persino imparare qualcosa di buono ed utile relazionandosi con entità (para)umane che la sorte, in una sorta di blablacar galattico, ha deciso di farci, in un certo senso, conoscere. 

Insomma, non sarà poi molto, ma tutti voi che state posando gli occhi su queste mie parole meritate almeno un virtuale ma sincero Grazie per la compagnia che oggi, così come in passato, mi avete offerto: siete la prova che, a volte, a parlare con gli sconosciuti, si guadagna tanta allegria e persino un po' di serenità. 


A presto blog, a risentirci miei lettori.

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