Ponti di legno e cenere divina

In una serata invernale e (finalmente) fredda, mi è capitato di rivedere un film che ho sempre considerato straodrinario, e che anche oggi è riuscito a farmi considerare speciale una serata passata a casa in compagnia di una cena che purtroppo non è stata affatto frugale. Si tratta de "I ponti di Madison County", diretto ed interpretato da Clint Eastwood: la trama si sviluppa su una proibita storia d'amore tra una energica e curiosa casalinga (Meryl Streep) ed un sensuale fotografo errante (Clint Eastwood).
Sono tanti i punti che mi hanno colpito: l'erotismo paziente ed ascendente raccontato dagli occhi della capace protagonista; il malcostume, tipico di ogni piccolo borgo, di puntare il dito su tutto ciò che risulta a-normale; la fatica, fisica e psicologica, del vivere lontano dalle grandi città.
Però "solo un punto fu quel che [mi] vinse": quando ho ascoltato una riflessione di Francesca sull'essere genitori non ho potuto far altro che aspettare la fine del film e scrivere qualcosa. 
Eccovi la battuta che ha causato questo articolo:
"Noi siamo la scelta che abbiamo fatto Robert...tu non capisci che...non lo vedi...nessuno capisce che quando una donna fa la scelta di sposarsi ed avere dei figli in un certo senso la sua vita comincia, ma in un altro senso si ferma. Ti costruisci una vita di piccole cose e ti fermi e resti, resti, lì solida perché i tuoi figli possano andarsene e quando se ne vanno si portano via la tua vita fatta di piccole cose e a quel punto dovresti ricominciare a vivere ma non ti ricordi nemmeno più come si fa perché è tanto tempo che nessuno ti chiede più niente, inclusa te stessa. Perciò non puoi pensare che un amore del genere possa capitare a te.".
Sono parole forti, amare, dense di sofferenza e di consapevolezza; parole purtroppo vere e non così tanto improbabili aggiungerei. Quante rinunce, spesso di cui nemmeno ci accorgiamo, fanno coloro che ci hanno messo al mondo per il solo fatto che esistiamo? Ogni giorno per noi non è che un susseguirsi di eventi che ci fanno sentire i protagonisti incontrastati della scena. Probabilmente è giusto, è naturale, che sia così. Solo crescendo e diventando a nostra volta genitori potremo capire empiricamente cosa voglia dire vivere in funzione di qualcuno. Ovviamente ciò non deve tradursi in un perdere completamente se stessi, ma solo in un saper mettere i bisogni di qualcun'altro in cima alla lista, lasciando che i propri assumano un'importanza alquanto relativa. 
Essere madri o padri, non solo nel senso "anagrafico" dell'espressione, regala una seconda prospettiva, la possibilità di amare davvero in maniera incondizionata, senza filtri, tornaconti o egoismi di nessun genere.
Si può amare a tal punto qualcuno da essere disposti a distruggere la propria felicità pur di far crescere forti e sicuri le proprie creature. Probabilmente è questo l'unico aspetto davvero divino, per quanto squisitamente terreno, della vita umana. 
Forse una carezza o un sorriso in più, donati spontaneamente a chi ha sacrificato poco o tanto di sé, esclusivamente per la gioia altrui, potrebbe fare stare meglio tutti, grandi e meno grandi...ma purtroppo ricordarsene, a volte, è davvero arduo.
Dopo queste riflessioni quasi-notturne, non mi resta che congedarmi augurandomi di aver imparato qualcosa che in realtà sapevo ma che non avevo mai davvero capito.


A presto blog, a risentirci miei lettori.

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