Le 5 Ws di Capodanno

Il cielo ieri notte era più buio del solito: un vento sferzante colpiva impudentemente i nostri zigomi mentre le mani, rubiconde e gonfie, cercavano riparo dentro la fredda tasca dei jeans. Gli occhi ridotti a fessure, quasi ad attendere che uno di noi sparasse quell'inevitabile proiettile che, come nei migliori western, avrebbe ferito mortalmente qualcuno. E poi una parola, grave e pesante, greve e tagliente, ha fatto tremare le ginocchia dolenti di quelle piccole anime impaurite raccolte nel freddo androne di un palazzone addormentato: capodanno. E fu subito opinione.
Ebbe sì miei sazi e congestionati amici, anche per me è arrivato il momento di rispondere all'interrogativo più spaventoso che ci sia: cosa fare a capodanno? 
La festa più magica, per me che non sono un fan di Babbo Natale, è quella di S. Silvestro: una celebrazione nella quale si alternano bilanci, confronti e propositi (quasi mai presi in sobrietà), che trova il suo habitat ideale non tanto o non necessariamente nella famiglia, quanto negli amici.    
Ovviamente lo scintillio della "Giornata delle paillettes" ha un prezzo molto alto: rispondere alle "five Ws" in modo chiaro, preciso e circostanziato.
Il primo di questi riguarda il Who.
Sembra un problema di facile soluzione, se non fosse che tutti fra gli amici abbiamo loro: quelli che non mangiano qualcosa. Il razzismo fra gli alimenti è un nemico silenzioso che colpisce alcuni fra i cibi più insospettabili: uova, formaggi, verdure o addirittura dolci, nessuno è al sicuro dalla discriminazione. E tu stai lì, ad ascoltare le giustificazioni, mai sensate, di coloro che scelgono di ostracizzare dalle proprie vite timballi al ragù o pasticci di verdure, senza che la logica da te utilizzata possa fermarli dallo sragionare ad alta voce. Il decidere "chi" invitare si tramuta, alla fine, nello scegliere "quali cibi eliminare dal menù". 
Poi abbiamo il What.
Fondamentalmente le fazioni sono due; è una moderna lotta tra guelfi e ghibellini, fra sacro e profano, tra bene e male: casa o discoteca. 
Parliamoci chiaro, il sottoscritto non ama dimenarsi in giro per locali come un malato in preda ad un attacco epilettico, riscaldato dal fiato di sconosciuti e frustato dalla luce stroboscopica. Nonostante ciò sono dell'avviso che se già è dura rinunciare al primo sale, non ha senso spaccare in due la comitiva anche per la questione sul "cosa". Purché si stia assieme va bene tutto, ma quell'unanimità di intenti tarda sempre troppo ad essere raggiunta. E così, mentre il tempo scorre impietoso e i biglietti per entrare in disco diventano sempre più costosi, si sta lì, a discutere, a decidere ed a convincere il prossimo che la propria scelta sia la migliore. La soluzione, però, non arriva mai prima di 12 ore dallo scoccare del nuovo anno. 
Segue il When.
Apparentemente il "quando" non costituisce un problema: come possono esserci dubbi?
Probabilmente siete solo fortunati, perché anche in questo caso, molto spesso, le vie si separano: da un lato abbiamo gli irriducibili del cenone in famiglia, dall'altro gli insensibili che non sopportano zie ubriache e nonne nevrasteniche per essere state costrette a cucinare come se non ci fosse un domani. 
Questa lotta conta, ogni anno, una miriade di inconsapevoli vittime che pensano, stupidamente, di riuscire ad alzarsi da tavola per raggiungere gli amici dopo cena. Ma la verità è che per quanti amari si possano bere, la digestione certe notti è più simile ad un travaglio, e nessuna epidurale può alleviare i dolori di un cotechino che non vuole essere digerito.
Ed eccoci giunti al Where. 
"Casa mia o casa tua?". Mai domanda retorica fu più retorica di questa.
Dopo alcuni anni di prove e tentativi si forma, nell'immaginario di tutti, il luogo ideale, la location perfetta. Ovviamente ciò non vuol dire che il proprietario della "regina delle case" la pensi come noi. Ospitare venti o trenta amici, con rispettivi compagni, fidanzati e accompagnatori, non è cosa da poco. Sorta l'alba l'ospite, come leggera rugiada, evapora, mentre il caos resta.
Ma cosa volete che sia una macchia sul tappeto rispetto al piacere di poter fare il conto alla rovescia con gli amici di sempre? Risposta ovvia per me, un po' meno per il tappeto del salone che sfoggia una miriade di macchie di vino e sangria come fossero cicatrici di guerra.
E siamo finalmente giunti all'ultima domanda: Why.
Il perché miei cari è ovvio: la famiglia è la più sacra delle cellule della società. Ecco perché in questa nozione, a mio avviso, non rientrano solo coloro che portano il nostro stesso cognome, ma anche e soprattutto, quelle persone che abbiamo avuto la possibilità di scegliere e di "provare".
Appellativi come fratello o cugino non dovrebbero dipendere solo dal corredo cromosomico. Sono, spesso, ma non sempre, i parenti che ti scegli quelli che ti permettono di sopportare il peso dei sogni che si infrangono e delle delusioni che ci colpiscono. Ciò non vuol dire che non ci possa essere una compresenza fortunata di stima e genetica, ma come tutti i fatti che dipendono dal caso, la percentuale è molto più bassa di quanto spesso non si voglia ammettere a se stessi.  
Vi Auguro una notte piena di ricchi premi e cotillon, da passare esclusivamente con coloro che amate e non con chi, purtroppo, ci ama solo per non finire dietro la busta della De Filippi. 



A presto blog, a risentirci miei lettori. 

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